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Fu riordinando le idee nella sua testa che di fronte all’ennesima porta chiusa, si rese conto che dall’ultimo fugace sguardo non aveva più notizie di Marika. Istintivamente portò la mano verso la coscia all’altezza della tasca, facendo il consueto gesto di tirare fuori il cellulare per effettuare una chiamata, la frustrazione crebbe quando il leggero lenzuolo che lo avvolgeva gli impediva di infilare la mano in tasca e rimarcava la sua condizione di sorvegliato. Stizzito si alzò dal letto ormai i giorni dei macchinari e delle flebo erano finiti, un contatore geiger produceva l’unico suono costante della stanza, ormai assimilato al silenzio nella testa di Carlo, non aveva variazioni di tono da un po’, segno che anche se non fossero scese, quantomeno le radiazioni emesse dal suo corpo erano costanti. La stanza era scarna, un finestra affacciava su un parcheggio interno chiuso a quadrilatero dalle altre ali dell’edificio, oltre il cielo e le facciate del palazzo che si ripetevano a specchio, le macchine parcheggiate di sotto erano l’unico elemento che sembrava diverso. Basandosi sul ciclo giorno notte erano trascorsi almeno due giorni pieni e questo terzo giorno era prossimo alla sua metà del ciclo di luce, il caldo sole dell’esterno si irraggiava nella stanza lasciando solo percepire la sua intensità avvertita come un lieve tepore superficiale contrastato dalla ventilazione dell’edificio. Come se non se ne fosse mai reso conto, lo sbiadito riflesso nella finestra gli ricordò di avere un corpo e che erano giorni probabilmente che non si prendeva cura di sé stesso. Anzi, oggi era il primo giorno che portava i suoi pensieri a spingerlo in piedi sul letto in maniera volontaria. Adesso aveva abbandonato l’incertezza delle supposizioni per acquisire quanto più poteva dall’ambiente circostante. Nella sua condizione sembrava che stesse ragionando come un elaboratore. Il tentare di sciogliere la matassa degli avvenimenti lo aveva portato a un livello di astrazione tale da abbracciare tutte le ipotesi possibili, ma anche tale da ridurre azioni come andare in bagno o mangiare qualcosa di subordinato, non realmente necessario.
Il pensiero di Marika era stato l’interruttore che aveva riacceso le sue funzioni “normali” e piano piano stava percependo tutti i segnali che gli provenivano dal suo corpo.
Dall’istante in cui aveva riacquisito la cognizione di se, il lieve dolore agli occhidel bagliore del sole lo fece indietreggiare dalla finestra come una creatura sporca, del quale il sole metteva in risalto ogni impurità, una creatura della notte che trova sollievo nell’inerzia dell’ombra. La porta del bagno della sua camera era più di un miraggio. Camminare fino a quella vicina meta metteva alla prova ogni suo istinto e la sua forza di volontà. Il primo passo cosciente fu una fitta al tallone che quasi lo fece cadere. I muscoli della coscia si tesero nella reazione naturale per contrastare la caduta dovuta all’assenza di forze indotta dal dolore.
Arrancando in questa maniera pietosa arrivò al letto al centro della stanza. Li prese a massaggiarsi i piedi e le gambe cercando di riattivare la circolazione. La sensazione era quella di camminare per la prima volta in un corpo nuovo, mano a mano che i l suo io cosciente prendeva confidenza con questa nuova condizione riusciva a percepire il sangue che scorre, il contatto dell’epidermide che frizionava tra le gambe e il palmo della mano, in analogia come se avessero aggiornato i driver del suo corpo e adesso le periferiche rispondevano in maniera diversa e lui coscientemente se ne accorgeva e doveva riprendere confidenza con se stesso.
Forse nei suoi primi due giorni di convalescenza il suo io cosciente era impegnato a rispondere alle domande sui fatti irreali degli ultimi giorni, tutto preso alla ricerca di uno schema o di una connessione, mentre la sua parte antica e profonda provvedeva agli istinti di sopravvivenza, facendo funzionare quello che aveva e ignorando i piccoli fastidi di  adattamento alla nuova condizione. Così adesso si rendeva conto che come per guidare un auto, adesso lui doveva capire come fare. Le basi erano le stesse; un piede davanti l’altro, mantieni l’equilibrio, decidi la tua strada saggiamente, attento alle asperità del terreno, sempre di più si rendeva conto che era aumentata la sua percezione, di se stesso e in una certa misura pure dell’ambiente circostante. Tutte queste considerazioni furono spazzate via dall’idea di voler trovare Marika e di accertarsi che non le fosse successo nulla.


Qualche stanza più in là, in una control room appositamente creata per l’occasione due occhi osservavano i movimenti di Carlo da una telecamera a circuito chiuso. Le istruzioni erano state chiare: avvisare ad ogni cambiamento. Negli ultimi due giorni, anche nel suo turno di lavoro alla supervisione il tipo si era alzato per andare in bagno e per sbocconcellare dal carrello che gli veniva lasciato in camera con del cibo iperproteico in razioni da militare. Era chiaro che i contatti fino alla fine dei test erano altamente sconsigliati e ridotti al minimo indispensabile. Aveva sempre considerato strano che nonostante l’apparente stato di veglia il soggetto non reagisse neanche quando entrava qualcuno in stanza o quando i dottori prendevano i suoi parametri fisiologici. Lo aveva bollato come catatonico, già era un miracolo che fosse sopravvissuto a un irraggiamento massiccio di radiazioni e poi l’esplosione. L’interesse medico era comprensibile ma chi sa fino a che punto giustificato. Dal canto suo vederlo alzarsi e procedere sicuro verso la finestra e poi vederlo incespicare fino al letto per massaggiarsi i piedi e le gambe costituiva senz’altro un’anomalia.
Senza perdersi in altre considerazioni sollevò la cornetta della postazione di comunicazione, premette il pulsante indicato per le situazioni di questo tipo e attese mentre un trillo inframmezzato da qualche scarica elettrostatica intratteneva il suo orecchio. Tutto si fermo riducendosi al fruscio della cornetta del ricevente che veniva alzata dall’apparecchio, dall’altro capo la voce stanca del professor Stainer senza attendere che l’interlocutore parlasse vomito bruscamente un “non faccia nulla! Sto arrivando!”

In tutta onesta Janković pensava di trovare nella base ZYON solo un piccolo numero di ricercatori, intenti a studiare i risultati dei test di apparecchiature all’avanguardia. Niente di più di un essere umano normale non avvezzo a gestire conflitti a fuoco se necessario e a una piccola presenza di forze di sicurezza, in fondo la sicurezza dell’installazione era per lo più dovuta al suo alto grado di mimetizzazione all’interno del tessuto urbano e alla bravura nel nascondere le tracce a ogni curioso che fosse andato a cercar guai negli archivi del comune. La squadra di Radoslav aveva rimodellato il piano per neutralizzare il gruppetto di boyscout della NEW GENETICS, l’intervento dei due della sicurezza attrezzati con apparecchi sofisticati almeno quanto i loro e l’improvviso precipitare della situazione dovuto al collasso del reattore, aveva reso la missione un mezzo fiasco. Fortuna che l’annichilimento di un reattore al cobalto lasciava meno tracce di una loro squadra di pulizia e in fondo tranne la conoscenza il dispositivo che cercavano era nelle loro mani.
Nella sua personalissima e privata zona alloggio della base Nebula, nella completa solitudine del salone arricchito di marmo verde e lampadari di cristallo Goran Janković comincio a formulare una domanda ad alta voce con lo sguardo verso un monitor a parete apparentemente spento:
<<Andromeda a che punto è l’analisi del manufatto?>>
Il monito si illuminò mantenendo una colorazione sul nero, e manifestando al centro dello schermo una specie di volto che sembrava formato da scie fumose, quella era l’interfaccia utente del computer della base, implementava comandi vocali e tutta una serie di sensori per interpretare l’interlocutore, spesso però il client che animava le interfacce grafiche non possedeva molta capacità di gestire un volto ad alta risoluzione mentre scambiava una mole di dati gigantesca con il server, la vera testa di Andromeda.
Gli altoparlanti emisero il suono di una voce di donna, modulata in maniera tale da dare l’illusione che il suono provenisse dal monitor ma udibile da tutta la stanza, questo per molte persone ancora rientrava nel campo della fantascienza, ma Andromeda stava lavorando al ritmo serrato di un equip di ingegneri e di fisici, eseguendo scansioni e prove sull’oggetto, con la sicurezza di un capo dipartimento dell’università prese a snocciolare una serie di dati. Goran aveva un’idea generale di quello che stavano facendo, lui era un visionario che aveva impostato la sua modesta attività nel campo della ricerca hi-tech per fini non proprio puliti, la testa era il professor Edwin Chandra studioso senza scrupoli proveniente dall’india. Finché Janković avesse assecondato la sua fame di scienza lui gli avrebbe confezionato gioiellini come la tuta invisibile o il cloud che gestiva Andromeda. In quel momento le informazioni che Andromeda gli stava fornendo con voce soave e fredda competenza sarebbero state miele per Chandra ma non per lui
<<Piccola lo sai che sono un tipo pratico, fammi capire a che serve!>> Disse in tono perentorio Janković
<<Posso fornire una descrizione migliore con i monitor HD del main frame del laboratorio, puoi raggiungermi li…>> rispose la fumosa voce dolce dalle casse diffuse nella stanza. Janković si diresse alla porta in fondo al salone e poggio la sua mano su un area del muro che era identica a tutto il resto della parete, a parte per il lieve alone che derivava dagli innumerevoli contatti della mano. La porta emise un beep, segno che il riconoscimento biometrico era avvenuto correttamente, dopo qualche secondo senza nessun rumore apparente la porta si aprì automaticamente rivelando l’interno di una cabina tipo quelle di un ascensore, <<Al laboratorio allora!>> esclamò Janković prendendo posto nella cabina.

Arrivato nel laboratorio il dottor Chandra era impegnato nella parte chiusa ed ermetizzata per gli esperimenti con componenti pericolosi, sul monitor al centro della stanza campeggiava la figura di una donna bellissima, quanto di più vicino a una modella da copertina, il volto aveva un nasino piccolo incorniciato da due occhi dal taglio vagamente orientale di un verde penetrante, le labbra rosse di rossetto vicino al fluorescente strappavano subito l’attenzione dagli occhi, capelli neri raccolti in una coda che spariva dietro le spalle, fisico asciutto dalla postura eretta e composta, con dei fianchi generosi e il seno che premeva sul camice bianco senza essere troppo volgare, la creazione virtuale di quell’entità aveva richiesto a Janković ore di lavoro insieme a quel giovane molto dotato in modellazione 3d e molto in cerca di soldi, aveva anche lui gusto per le belle donne (se avesse lasciato l’interfaccia a Chandra avrebbe avuto la sua copia riprodotta in alta definizione), nel giro di un mese di rendering e modellazione prendeva sempre più corpo la figura che adesso vedeva sullo schermo, generando una gamma inverosimile di versioni grafiche della donna che sarebbe stato il corpo di Andromeda il suo supercomputer. Destino più triste tocco al giovane grafico, attualmente figura nella lista dei dispersi della sua contea, realmente vive in qualche meandro della base Nebula in buona salute e costretto a lavorare al miglioramento dell’interfaccia.
<<Ah! Andromeda, se fossi in carne ed ossa>> disse sospirante Janković
<<Non sarei così efficiente…>> ribatte Andromeda, Janković pensò che la simulazione si stava arricchendo di veri tratti femminili del comportamento, a volte si trovava a intessere discussioni con lei con la sensazione che stesse cercando di circuirlo e attirarlo a se, ma Andromeda era molto di più di quella simulazione. Mentre intratteneva Janković con la sua formosa simulazione stava ausiliando Chandra nel compimento degli esperimenti, dei quali già possedeva un primo risultato, il quale stava per essere esemplificato agli occhi di Janković mediante fluide simulazioni 3d e il tocco di una sapiente e quanto mai voluttuosa divulgatrice.
<<Il manufatto risulta essere quello che pensavamo, è un generatore controllato di campo magnetico, accoppiandone un numero sufficiente si ottiene un sistema di generatori che crea un campo di forma circolare utilizzato per il contenimento del flusso piroclastico che si genera quando l’interazione dei gluoni con la materia grezza esce dallo stadio di controllo>> e subito l’intelligenza artificiale prese ad animare la sequenza di parole per rabbonire il capo e per rendere comprensibile il tutto.

Mentre Janković pensava euforico che avevano fatto centro e capiva il perché la NEW GENETICS cercasse questo dispositivo, la porta dell’area di decontaminazione si aprì frusciando con un suono molto poco futuristico, lasciando intravedere in mezzo a una nuvola di vapori l’immagine di un uomo in camice bianco dalla pelle olivastra, capelli neri a formare un casco uniforme intorno alla testa occhi socchiusi e un paio di occhiali grandi a sufficienza da coprire la faccia da destra a sinistra con una vistosa montatura dorata, il tutto condito da un fisico a malapena sufficiente a garantire la deambulazione, faceva così il suo ingresso in scena il professor Chandra.

Marika, il professor Stainer e Sberla uscirono dalla stanza di ospedale, dove Carlo era ricoverato e tenuto sotto stretta osservazione dai migliori specialisti del caso, anche se la situazione era decisamente anomala - Carlo sembrava non aver risentito in nessun modo all'esposizione massiccia di radiazioni, anzi sembrava stare meglio di prima -, e si diressero verso l'uscita, lungo i corridoi iniziarono a rilassarsi.


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Sberla per sua indole sembrava scanzonato, come se non fosse successo nulla, forse dipendeva dal fatto che lui era il capo della sicurezza dell’installazione ZYON EU-23, ed aveva un'esperienza di operatività molto alta, proveniva dalle forze speciali, - pensandoci bene dell'ex installazione, dopo l'annichilimento del reattore al cobalto, sicuramente non era rimasto in piedi praticamente nulla, la struttura stessa era crollata come un castello di carte -.
Nonostante il notevole danno alla struttura, Sberla era convinto che tutta la conoscenza contenuta nel sistema computerizzato era al sicuro da occhi indiscreti, il sistema in caso di pericolo si sarebbe chiuso a cipolla, protetto da una serie di firewall che sfruttavano degli algoritmi super innovativi. 
Se non fosse bastato, il sistema dopo un tempo predeterminato, che era decisamente inferiore al tempo teorico per poterlo craccare, si disconnetteva e trasferiva tutti i file in un server ubicato nel bunker sotterraneo a prova di bomba atomica.


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Stainer essendo più anziano, - per sua fortuna o sfortuna, dipende dai punti di vista - aveva avuto modo negli anni di vedere e vivere situazioni particolari, in alcune occasioni aveva rischiato in prima persona la sua incolumità fisica, ciò faceva si che Stainer sembrasse aver risentito di meno dell'accaduto.


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Marika era molto scossa e provata si poteva capire, visto che nelle ultime ore la sua vita era stata stravolta, era venuta a conoscenza - suo malgrado - di informazioni particolari e riservate  - le aveva trafugate per consegnarle a Carlo, pensando che potevano essergli utili per capire cosa era succusso -. 
Era stata prelevata insieme a Lui e portata all’installazione ZYON EU-23, così aveva scoperto che facevano delle ricerche molto simili a quelle che si effettuavano nel laboratorio 5 - diretto da Hans Weber, il suo capo -.
Lei in fondo era solo una segretaria, anche se personale di Carlo, il suo lavoro era scartoffie e burocrazia, ovvero d'ufficio, non era mai stata in situazioni particolari ne tanto meno pericolose, in quel frangente anche se non sapeva perché, aveva rischiato seriamente di morire, o quanto meno farsi molto male.


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Carlo chiuso nella stanza d'isolamento, dove era monitorato 24 ore su 24, non riusciva a comprendere cosa lo aveva spinto verso quel povero ricercatore, che era evidentemente condannato ad una morte atroce.
Perché malgrado l'esposizione alle particelle subatomiche, che si erano sprigionate quando era collassato il reattore, lui non ne aveva risentito, malgrado ne avesse assorbito una quantità non precisata ma sicuramente di svariati LD50 ( l'unità di misura della dose necessaria per uccidere il 50 % della popolazione ). 
Da quanto gli era dato sapere, i medici stessi non riuscivano a darne  una spiegazione perlomeno plausibile, anche se poco credibile.


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Goran Janković, attendeva il rientro alla base Nebula della squadra mandata a prelevare l'oggetto richiestogli dal suo committente, generalmente non si poneva troppe domande inerenti alle operazioni, gli venivano richieste e lautamente pagate, ma questa volta la cosa era diversa, aveva dovuto mandare la sua squadra migliore e senza nessuna copertura extra.
L'operazione era riuscita quasi alla perfezione, era riuscito a sincronizzare l'arrivo e infiltrazione dei suoi uomini ( le spie che aveva infiltrato nei laboratori della NEW GENETICS, come in quasi tutti i laboratori con maggiori probabilità di successo, al solito avevano fatto un buon lavoro ), nel momento stesso in cui gli uomini di Hans Weber cercavano lo stesso oggetto.
I membri della sua squadra erano riusciti a sottrarlo durante l'evacuazione, alla concorrenza, non contava nulla che per ottenere il risultato avevano eliminato fisicamente la persona che lo trasportava, questi lui li considerava effetti collaterali.
Come in guerra ci sono vittime civili, così in una operazione di recupero erano conteggiate le perdite che potevano avvenire da ambo i lati, ma quello che contava era l'esito positivo dell'operazione.
Dopo alcune ore la squadra rientrò e fu mandata subito al reparto decontaminazione, con tutta l'attrezzatura usata compreso il furgone che era stato usato come base, ( la sicurezza della struttura e l'incolumità non andava trascurata per nessun motivo ), per eseguire tutte le operazioni del caso.


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Radoslav il capo squadra si recò nell'ufficio del comandante, come era abituato a chiamarlo, loro lavoravano insieme da tantissimo tempo, si può ben dire dall'inizio.
Tutto era iniziato quando erano poco più che ragazzi, le loro vite si erano incontrate durante la strage di  Srebrenica nel 1995.
Radoslav era un mercenario russo poco più che diciottenne, ebbe modo di incontrare Goran durante un rastrellamento ad opera delle truppe Serbe comandate da Rakto Mladić.
Era il 15 Luglio del 1995 quando si scontrò fisicamente con un ragazzino che poteva avere 12 anni, il ragazzino gli parve subito molto spaurito, - era dalla terribile morte del padre, a cui lui aveva assistito senza poter fare nulla, tranne stare nascosto per non morire a sua volta, che fuggiva e si nascondeva -.
Radoslav non capì mai perché nascose quel bambino al rastrellamento in atto salvandogli di fatto la vita, forse gli ricordava se stesso alla sua età, quando scappava dal padre, che alcolizzato, tutte le sere dopo essersi bevuto la paga giornaliera, tornava a casa e picchiava la madre e a volte anche lui così senza un apparente motivo.
Qualche anno dopo la fine della guerra fratricida Jugoslava, dove i padri combattevano contro i figli, le famiglie si trovarono divise, solo perché al momento della ridefinizione dei nuovi confini, si trovavano in parti diverse delle città - come accadde con il muro di Berlino della seconda guerra mondiale -.
Radoslav tornò a Srebrenica, cercò quel bambino che aveva salvato, non sapeva se era sopravvissuto, ma qualcosa gli dava la certezza che lo avrebbe ritrovato in buona salute, dopo laboriose ricerche, con le poche informazioni di cui disponeva, lo trovò e vide che era con un gruppetto di ragazzi come lui, era cresciuto ed era quasi un'uomo, la cosa che lo stupì fu l'impressione che dava, sembrava essere il capo di quei ragazzi, lo seguivano e lo rispettavano - quel ragazzino spaurito che lui aveva salvato, era diventato un leder -


***

Radoslav quando varcò l'ingresso, Goran Janković, mostrò chiaramente il suo disappunto , per la non perfetta riuscita dell'intervento, era il momento delle spiegazioni e dovevano essere esaustive e molto complete, Goran era pronto a far saltare qualche testa - in senso fisico -, forse anche tutte.
L'operazione da lui come al solito organizzata in tutti i suoi particolari, era stata quasi in pericolo di fallimento, non era accettabile, perché, cosa e soprattutto chi aveva prodotto tutto ciò?
Goran era convinto che si fosse trattato di un errore umano, questo non era concepibile e soprattutto concesso.


***

Hans Weber alla NEW GENETICS, aveva ricevuto l'informazione del ritrovamento e poi della successiva perdita, da parte dei suoi uomini dell'oggetto che erano stati mandati a trafugare.
La cosa che lo opprimeva di più era la perdita della squadra, dopo l'esplosione del reattore al cobalto, più della metà dei suoi uomini era morta all'istante e i restanti sarebbero morti in poche ore tra atroci dolori e indicibili sofferenze.
Durante l'ultimo contatto con la squadra era venuto a conoscenza dell'esistenza di un altro gruppo, forse responsabile dell'annichilimento del reattore, e di conseguenza del totale fallimento dell'operazione, lo sviluppo degli eventi imponeva delle riflessioni e delle domande, alcune delle quali non avrebbero avuto risposta.
L'unica certezza era quella di avere un nuovo competitore, probabilmente più pericoloso e senza scrupoli, a conoscenza di cose che dovevano essere segrete a tutti, tra le varie domande ora se ne imponeva una su tutte - come era possibile che questo gruppo sconosciuto fosse nello stesso posto e alla stessa ora della sua squadra -, lui non credeva alle coincidenze, quindi l'unica altra spiegazione era che nel suo laboratorio dovevano esserci una o più spie, doveva fare un'indagine accurata e approfondita.


***

Carlo stava cercando di riordinare la sequenza dei fatti in un ordine logico, l'evoluzione non era certo confortante, tutto il suo lavoro con il professor Stainer sembrava compromesso, Sberla lo aveva informato al suo risveglio in ospedale che la struttura non c'era più, ma soprattutto di quel gruppo di uomini che usavano tute in grado di rendere invisibili, più evolute di quelle che avevano loro in dotazione.
Carlo era quasi sicuro che alla NEW GENETICS non disponevano di quella tecnologia, ma per il momento distolse i suoi pensieri altrove, dato che aveva con sé la cartella dei dati su cui lavorava, cominciò a rileggerli per vedere se riusciva ad elaborare una nuova ipotesi.
Lui era stato vittima di un incidente che aveva innescato una serie di cambiamenti alla sua persona, ma come era stato possibile, forse l'esposizione ai Gluoni, stava alterando il suo DNA, iniziò a ricontrollare tutti i dati scientifici di cui disponeva e a rielaborare le varie formule, si era riproposto di usare il tempo libero, forzato dal suo ricovero, per risolvere almeno alcuni problemi.
Lo studio teorico dava risultati confortanti, gli era quasi chiaro il perché del mosaicismo somatico ed aveva una buona teoria che poteva spiegare gli altri effetti, ma non avendo accesso ad un laboratorio anche se meno attrezzato del suo non poteva verificare le sue teorie, prese in considerazione l'idea di uscire dall'ospedale anche senza il benestare dei medici, aveva bisogno di sapere, non riusciva più a sopportare quella situazione, vivere nel limbo dell'incertezza non gli giovava.
Aveva bisogno di un laboratorio, non poteva certo presentarsi alla NEW GENETICS da Hans Weber, non sapeva se lui fosse l'artefice di quella devastazione, dove poteva andare a fare i suoi test di laboratorio, senza correre il rischio di divulgare informazioni molto delicate e sensibili.
L'installazione ZYON EU-23 per quanto ne sapeva lui non esisteva più, i suoi sistemi informatici erano divenuti inaccessibili, queste e altre motivazioni sconsigliavano di rivolgersi al professor Stainer, né tantomeno chiedergli se poteva inviarlo in qualche laboratorio di sua fiducia, per ora sapeva solo che doveva uscire dall'ospedale, non aveva ancora escogitato il metodo migliore per uscire inosservato, doveva elaborare un piano per la fuga.
Goran Janković, seduto alla sua postazione di controllo e direzione, dalla quale tiene sotto controllo tutta la struttura (che può essere confusa ad uno sguardo superficiale, con una sala di controllo spaziale della NASA oppure dell’ESA) e il personale (tra il più specializzato nella sua mansione e anche il più pagato, Goran ritiene che una ottima retribuzione allontani la possibilità di farsi corrompere) che si occupa dei vari aspetti, tra i più importanti il controllo della sicurezza interna ed esterna.
La struttura di Goran Janković, è conosciuta nel mondo di mezzo con il nome di Nebula, raggiungibile solo tramite il deep web, il lato oscuro della rete.
Una delle abilità di Goran è quella di riuscire ad infiltrare  personale fidatissimo anche nelle strutture governative mondiali di maggior interesse, economico oppure tecnologico.
Avendo fatto di Nebula un punto di riferimento primario nel tipo di servizi offerti, non poteva permettersi di non soddisfare le richieste di chi si rivolgeva a lui, quindi aveva piazzato con scaltrezza innata, uomini in tutti i tipi di settori che potevano essergli utili, sicurezza, ricerca, sviluppo, fino ad arrivare anche al reparto pulizie, forse fra i più prolifici per la ricerca e acquisizione di informazioni, muovendosi generalmente all'interno delle strutture nelle ore in cui il resto del personale non aveva ancora iniziato il proprio lavoro.
Tutta la struttura è controllata da un supercomputer, al quale ci si rivolge per nome - Andromeda -, la sua potenza di calcolo è superiore a quella del supercomputer cinese Tianhe-2, conosciuto come il più potente al mondo.
Andromeda gestisce tutte le attività della struttura anche quelle apparentemente più banali, come l’erogazione dell’acqua, l’irraggiamento solare (che avviene con l'uso di specchi posti all'esterno dell'ambiente, che opportunamente orientati illuminano la sala operativa), il controllo ambientale e tante altre, tutte operazioni che potevano essere comodamente eseguite da normali squadre di manutenzione, ma come Goran amava dire «una macchina non potrà mai tradirti e non si può corrompere».
Andromeda, come HAL 9000 del film 2001 Odissea nello spazio, era in grado di parlare correttamente una quantità di lingue pressoché sconosciute, ma soprattutto imparava e si evolveva giorno dopo giorno, con il passare del tempo Goran era arrivato alla conclusione che Andromeda avesse sviluppato una coscienza personale.
La sicurezza esterna era effettuata con sistemi satellitari che coprivano tutto il perimetro della struttura, in grado di riconoscere un orologio e l'ora che segna, da chilometri d'altezza, quella interna aveva più squadre di sicurezza altamente addestrate ed efficienti, in grado di intervenire e circoscrivere il problema in pochissimo tempo, nell'ordine di pochi minuti, quasi mai più di 3, ma Goran voleva costantemente miglioramenti,veniva coadiuvata con l’ausilio di un sistema di video sorveglianza altamente sofisticato, neanche le più grandi e blasonate agenzie di sicurezza internazionali (CIA  MI6  NSB  FSB  Mossad ecc) dispongono di un analogo sistema di spionaggio, tra le varie caratteristiche e forse la più importante un sistema di controllo biometrico evolutissimo che tiene sotto controllo tutti i parametri vitali e psichici del personale, in grado anche di analizzare il DNA di ogni persona presente all’interno della struttura, questo garantisce l’impossibilità di infiltrazione o sostituzione dei membri delle varie squadre.
L'acquisizione fraudolenta di altissime tecnologie, non meno importante la rimozione di ogni prova del loro passaggio con tecniche non certo poco invasive, di solito la squadra di contenimento come amava definirla Goran, faceva sparire tutto anche i corpi dei poveri sventurati che avevano avuto la sfortuna di incrociare la loro strada.
Attendeva la comunicazione della sua squadra d'assalto (inviata ai laboratori della GEN.TEC.), forse la più adatta ed equipaggiata per quel tipo di missione, tra l'equipaggiamento  a disposizione del gruppo, la tecnologia di occultamento (si tratta infatti di nanomateriali, delle dimensioni dell'ordine di milionesimi di metro la loro caratteristica è la capacità di deviare le onde luminose, orientandole attorno a un oggetto fino ad avvolgerlo come un guscio che si comporta come un mantello dell'invisibilità) poteva essere la più versatile e indubbiamente la più utile per il tipo di missione d'infiltrazione, in particolare nella struttura conosciuta con la sigla ZYON EU-23, con il compito di recuperare tutte le informazioni disponibili sulla ricerca sui Gluoni, ed eliminazione di tutte le prove del loro passaggio.
Il suo referente era particolarmente munifico per quello che riguardava la disponibilità di fondi provenienti da una seria di società fantasma, dislocate in tutto il mondo, come un gioco di scatole cinesi, ma non ammetteva errori o ritardi sul ruolino di marcia, voleva dei risultati nel tempo più breve possibile, ma soprattutto li voleva positivi, se si fosse verificato il contrario, la sua ira sarebbe potuta essere devastante, il gruppo che rappresentava poteva fare tabula rasa della sua organizzazione in un batter d'occhio, senza lasciare tracce.
Durante la spasmodica attesa ebbe un nuovo episodio di estraniazione, si ritrovò a vivere il suo incubo peggiore, "L'acqua scura, profonda brulicante di ogni forma vitale nefasta e nauseabonda, si chiude sulla sua testa e lo sta inghiottendo, nonostante cerchi disperatamente di emergere, tutte le sue energie non sono sufficienti, più cerca di risalire più affonda in quel brodo primordiale, si sente trascinare verso l’abisso, come se fosse tirato giù da qualcuno o qualcosa, allungando la mano verso la caviglia destra sente una grossa fune viscida che lo intrappola, con tutte le sue forze cerca di liberarsi, ma le dita ormai intorpidite, gonfie doloranti e la pressione non gli consentono di fare nulla, sente sfilarsi dal collo la catenina con  il suo amuleto, tutto ciò che gli resta del padre, e lo vede affondare lentamente lontano da lui nell'oscurità".
Goran tornò in se e si scopri a riflettere sul trascorrere della sua vita, certamente non si poteva dire che avesse avuto un’infanzia a misura di bambino, per sua sfortuna era nato in un paese che dopo pochi anni sarebbe entrato in una guerra fratricida fra le più devastanti che il mondo ricordi, tra le diverse etnie della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
Lui era di Vukovar in Slovenia, quando iniziarono le prime attività belliche, aveva solo cinque anni, ma questo non lo mise al riparo dalle atrocità e dalle violenze perpetrate ai danni della sua città, durante uno dei tanti bombardamenti che quasi la rasero al suolo, vide morire sua madre dilaniata da una bomba mentre gli faceva scudo con il suo corpo , questo fatto sconvolse tanto il padre che per reazione e vendetta si arruolò con l’intento di uccidere più nemici che poteva, in una serata apparentemente calma e stranamente senza l’ululare delle sirene anti aeree, una squadra di pulizia etnica fece irruzione nel villaggio dove si erano rifugiati, rastrellarono tutte le persone del villaggio e le ammassarono nella piazza centrale, dopo aver scelto e separato le ragazze più belle, alle quali era destinata una sorte peggiore, iniziarono a uccidere tutti nel metodo più atroce e strano che gli venisse in mente, come se fosse un videogioco.
Il padre prima di essere catturato riuscì a nasconderlo e a salvargli la vita, ma non l’orrore di quella mattanza, quando gli aggressori andarono via portandosi dietro le ragazze prigioniere, lui cercò tra i corpi dei morti suo padre, prese la catenina con un ciondolo raffigurante un elefantino e la indossò, giurando a se stesso che non la avrebbe mai più tolta.
Col trascorrere degli anni aveva dovuto imparare a difendersi da tutte le insidie più o meno nascoste, da persone che cercavano di abbindolarlo con promesse di una vita migliore, per poi sfruttarlo in tutte le maniere o peggio venderlo come pezzi di ricambio, come aveva visto succedere ad altri ragazzi della sua età molto meno scaltri o fortunati , più diventava grande e più voleva emergere in quel mondo di violenze e crudeltà, così iniziò ad arruolare altri disperati come lui con l’intento di creare un’organizzazione il cui scopo era solo quello di arricchirsi alle spalle del prossimo e di acquisire nome e prestigio a livello internazionale, purtroppo l’aver raggiunto lo scopo della sua vita non aveva cancellato tutto ciò, anzi aveva fatto in modo che lui fosse a capo di un sistema forse peggiore di quello che gli aveva negato l’infanzia.
Il segnale proveniente dal suo apparecchio di comunicazione impiantato nell’orecchio sinistro, lo ridestò dai suoi pensieri, era la squadra degli spettri che faceva rapporto, come aveva previsto i tempi di intervento erano stati quasi rispettati, scese nella sala operativa e ordinò ad un operatore di posizionare il satellite spia sulle coordinate della squadra, ciò che vide non lo confortava, sembrava tutto distrutto, evidentemente qualcosa non era andato secondo i piani, vedeva il furgone che fungeva da base per l’intervento e che conteneva attrezzature tecnologiche d’avanguardia, apparentemente abbandonato, il satellite non riusciva a vedere fonti di calore né al suo interno né all’esterno, ma non avendo notizie di prima mano, perché le comunicazioni audio erano ritardate a causa della distanza tra la base operativa e il campo di azione, non poteva sapere dell'esplosione del reattore, quindi non poteva neanche immaginare che le radiazioni emesse interferivano con i sensori del satellite, nella frenetica attesa delle informazioni, il tempo pareva essersi fermato, finalmente il suo apparecchio di comunicazione diede segni di vita, il capo della squadra cominciò a metterlo al corrente degli sviluppi sull'operazione, usando un canale criptato che poteva ricevere solo Goran.
«Comandante», così lo chiamavo gli operativi, « l'operazione non si è conclusa come speravamo, il loro sistema di allarme anti intrusione è riuscito a rilevare noi spettri, non avrebbe dovuto dato che eravamo occultati, forse uno dei nostri ha commesso un errore, faremo le dovute indagini e il colpevole sarà punito come merita, c'è stato un incidente e la struttura è andata persa, non abbiamo potuto recuperare i dati contenuti nei computer, il generatore al cobalto è esploso, non siamo riusciti ad impedire che iniziassero la manovra di spegnimento del sistema, evidentemente non andata a buon fine, ma comunque abbiamo recuperato l'oggetto richiesto, la squadra non ha subito perdite, abbiamo solo alcuni feriti lievi, la tecnologia anti radiazioni ha svolto il suo compito egregiamente, ci stiamo dirigendo verso il punto di estrazione, chiudo»
Goran non era soddisfatto dell'accaduto, nella sua organizzazione non erano previsti errori di nessun genere, chi sbagliava pagava con la vita il proprio errore, la punizione finale era sempre la stessa ma cambiava il metodo per infliggerla, dipendeva dalla gravità dell'errore, comunque il suo referente poteva essere soddisfatto avrebbe ricevuto di li a poco ciò per cui aveva pagato, solo Goran non sarebbe stato soddisfatto, il contenuto dei computer poteva essere una fonte di guadagno extra, o magari poteva essere usato per migliorare ulteriormente la tecnologia a sua disposizione, ma questo non lo avrebbe mai saputo, qualcuno doveva pagare.




La tv e i mezzi di informazione non diedero molto risalto alla vicenda, trattandola come un banale effetto del degrado di una vecchia zona industriale ancora ricca di sostanze pericolose, il tutto con quella maestria che solo i poteri forti sanno imprimere, la capacità di depistare e ridurre tutto a un cumulo di possibilità impossibili. Chi viveva li intorno non l'aveva presa così bene però... Dopo il boato dell'esplosione ne seguirono delle altre accompagnate da rumori che non sembravano avere niente di naturale, ma il rassicurante consenso della televisione non lasciava dubbi, era solo una banale esplosione...
Chi era li, sapeva molto bene e aveva visto con i propri occhi quello che era successo.
Carlo, Stainberg e Marika avevano fatto in tempo a raggiungere una zona sicura e non furono toccati dall'esplosione ma ne subirono gli effetti, furono scaraventati a terra e coperti di detriti, Sberla aveva trovato un riparo di fortuna, stava a terra con la tuta logorata dall'attrito con il suolo sul quale aveva strusciato per metri... C'è da dire che un generatore a cobalto non sviluppa la sua “potenza” in calore... Il processo di annichilimento tende a portare tutta l'energia verso il nucleo quindi basta non stare li vicino per non essere preda del processo iniziale e, se si è fortunati, la reazione finisce in un gran lampo, che sviluppa una serie di radiazioni alcune nello spettro del visibile che possono arrivare a danneggiare gli occhi dei malcapitati, ma le radiazioni pericolose arrivano dopo... Ed è per questo che Carlo si ridestò il più in fretta possibile, sapeva che quel venticello oltre a portare quel tepore veicolava anche tutta una serie di radiazioni alle quali era meglio non esporsi, con un gesto istintivo sollevò Marika tra le braccia e, dimostrando una forza inaspettata, sollevò un detrito che gravava pericolosamente su Stainberg che giaceva al suolo mentre riprendeva coscienza,

<<Si alzi professore non è sicuro rimanere qui!>>

Stainberg cominciò ad alzarsi faticosamente da terra emettendo un grugnito di disappunto...
Più avanti verso l'esterno un gruppo di ricercatori giaceva messi in fuga giaceva a terra senza vita, i brandelli di stoffa erano mossi dal venticello radioattivo di ritorno dopo l'annichilimento, Carlo e il resto del trio si stava muovendo verso l'uscita, Sberla a sua volta si stava trascinando verso l'esterno sembravano tutti convergere verso quel gruppo di corpi nell'atrio di quel vecchio complesso industriale, ognuno per la sua strada, Sberla era ridotto piuttosto male procedeva arrancando in una posizione quasi eretta, Marika barcollava sotto braccio a Carlo seguiti da Stainberg che metteva i passi uno dopo l'altro cercando la strada buona tra i calcinacci, quando all'improvviso un sibilo proveniva da uno dei corpi stesi al suolo.
Uno dei ricercatori steso sulla pancia tremava come sottoposto ad elettroshock... Non ebbero la forza ne il tempo di andare a sincerarsi dello stato di salute del poveretto, anche perché, quasi come se avesse capito che tutti gli occhi erano puntati su di lui, si puntello sulle mani per tirarsi su, al primo cenno di sforzo il ragazzo tirò fuori un urlo di dolore che non aveva niente di umano, che peggiorò man mano che recuperava la posizione eretta. Dalla parte destra dell'atrio Sberla aveva cominciato a tastarsi il fianco in cerca della sua pistola che non era più nel suo posto, quindi decise di guadagnare metri verso il soggetto qualora ci fossero stati dei problemi sarebbe intervenuto alla vecchia maniera, Carlo che sembrava l'unico in forma del trittico, lascio il braccio della sua amica e si mise in piedi davanti ai suoi due compagni di sventura, cautamente si avvicinò al ragazzo che adesso era fermo in piedi mentre si guardava le mani quasi incredulo e gettava occhiate piene di panico intoro a lui
<<Tutto a posto?>> domandò Carlo cercando di sembrare il più rassicurante possibile,
<<si...>> balbetto il ragazzo, <<...come sono finito qui?>>
<<c'è stata un'esplosione nel complesso, stai bene?>> chiese Carlo per cercare di capire lo stato del suo interlocutore
<<si mi ricordo, ma...>>
mentre il ragazzo parlava e Carlo si avvicinava sempre di più non poteva fare a meno di notare un bagliore azzurrino tutto intorno al corpo del ricercatore che verbalmente sembrava molto cosciente ma oltre allo stare in piedi non mostrava segni di una sufficiente integrità fisica, la maglia era chiazzata di rosso all'altezza dell'addome, alla mano sinistra mancavano alcune dita che ancora si potevano vedere sotto il masso di cemento alla fine della scia di sangue, i pantaloni erano lacerati all'altezza della coscia sinistra lasciando vedere un gran pezzo di carne viva all'aria appena vide che Carlo si era avvicinato istintivamente il povero ricercatore fece un passo in dietro d'istinto, e di nuovo aprì la bocca lasciando uscire quel grido inumano, c'era un altro fenomeno che attraeva l'attenzione di Carlo, il bagliore azzurro stava aumentando da quando aveva emesso il grido e alle estremità del corpo il bagliore virava verso una tonalità di rosso dando l'idea di fuoriuscire come il gas che si incendia sul fornello.
Da quel momento l'urlo non cessava anzi, il ragazzo sembrava provare molto più dolore, i vestiti cominciavano a bruciare mentre l'intensità delle urla aumentava.
Carlo cominciò a fare qualche passo in dietro verso i due amici senza togliere lo sguardo da quello spettacolo strano.
Sotto gli occhi dei presenti il bagliore cominciò ad aumentare fino quasi a diventare una fiamma che avvolse tutto il corpo del ricercatore, fu allora che sberla attivò il suo congegno d'emergenza che teneva cucito sotto pelle sulla parte superiore del polso completata la manovra continuo ad osservare la scena muovendosi il più velocemente che poteva verso il trio che non lo aveva notato per niente.

Nel frattempo sul retro del furgone di manutenzione stradale appositamente camuffato per la gestione di operazioni segrete, lo spettro che aveva incrociato Sberla maneggiava quel parallelepipedo di metallo, presentava delle giunzioni ma nessuna cerniera, nemmeno un congegno per l'apertura, stava cercando di capire cosa mai Weber cercasse in un blocco di metallo che non sembrava avere nessuna utilità, non fece comunque in tempo a darsi una risposta che un altro spettro nel veicolo seduto davanti a un monitor che continuava a trasmettere dati raccolti dalle apparecchiature di bordo, si voltò verso gli altri gridando
<<ANOMALIA! CI SIAMO INVERTIAMO LA ROTTA!>>
lo spettro in piedi diede un occhiata al suo orologio tattico, c'era una ghiera come quelle degli orologi per le immersioni, regolò la tacca più grossa sulla lancetta dei minuti, c'era una grossa linea rossa pari a un quarto d'ora, restò a guardare il quadrante per qualche secondo, fece una rapida valutazione dei tempi di percorrenza per tornare in dietro, scrollando la testa affermò con voce stentorea:
<<NEGATIVO! Procediamo alla base, la missione è conclusa, abbiamo il target e il soggetto n°9 è ancora in vita... ALLA BASE, VIA!!>>

La luce bluastra si diffondeva sempre di più per tutto l'atrio, il poveretto ormai cominciava a dimenarsi e a fendere l'aria con le braccia che sembravano andare a fuoco.
La situazione stava virando verso un pericoloso ignoto, Sberla aveva raggiutno il gruppo e afferrato il braccio del professore gli disse
<<presto una squadra di recupero sarà qui!>>
il professore non sembrava tranquillizzarsi, e rimpallando lo sguardo tra la “torcia umana” e Sberla, sembrava cercare la risposta alla domanda “nel frattempo?”, mentre si consumava questo siparietto il ricercatore in fiamme si era fermato e stava orientato verso il gruppo di persone, Carlo si trovava fisicamente tra il gruppo e la fiamma. Il ricercatore in fiamme si mosse verso il gruppo, Carlo si girò verso il gruppo alle sue spalle cercando un idea ma incrociò solo lo sguardo terrorizzato di Marika prima di ritrovarsi faccia a faccia con il ricercatore in fiamme che incombeva pesantemente su di lui, istintivamente Carlo lo afferrò all'altezza delle spalle, il povero ricercatore si immobilizzo emettendo ancora una volta un urlo inumano.
La luce che si sviluppò dopo quel contatto era accecante, quando Marika riaprì gli occhi Carlo era seminudo di fronte a lei, l'energia sprigionata aveva ridotto i suoi vestiti a brandelli, le vene del corpo di Carlo erano tutte visibili e brillavano di una luce simile a quella che avvolgeva il ricercatore, il flash di luce aveva scurito il pavimento imprimendo la sua sagoma sul lastricato a mo di primordiale foto, Carlo fece in tempo a girarsi e a verificare che i suoi amici stessero bene prima di svenire, intanto un rumore di elicotteri si sentivano da lontano.

Nel furgone degli spettri il tipo di fronte al monitor esclamo
<<ANOMALIA TERMINATA!>>
lo spettro in piedi guardò di nuovo l'orologio, la lancetta dei minuti non aveva ancora raggiunto la fine della striscia rossa,
<<prima del solito...>> pensò a voce alta.


***

Carlo fu svegliato da un getto d'acqua fredda, nella confusione riusciva nettamente a distinguere il rumore di un contatore geiger, si ritrovò in una stanza rivestita di piastrelle bianche, un uomo in tuta plastica per evitare le contaminazioni lo osservava dopo aver distolto il getto d'acqua, in un angolo i suoi amici inzuppati come pulcini lo guardavano con uno sguardo stanco ma tranquillo. Da dietro il vetro della tuta una voce si apprestò ad afermare
<<mi scusi dottore è la prassi...>>
Stainberg si avvicinò all'uomo in tuta, dicendo
<<basta così, procederemo più tardi...>> poi guardando Carlo gli disse <<non ho capito cosa hai fatto ma ci hai salvato la vita...>>
si interruppe cercando lo sguardo dell'approvazione da parte degli altri due componenti del gruppo che non tardò ad arrivare, poi tornando al frastornato Carlo disse <<adesso vediamo di capire come sopravvivi con una così massiccia dose di radiazioni addosso...>>

Erano ore che Carlo e il professore stavano discutendo di particelle e flussi di plasma. Sembravano dei bambini che giocano con il fango dopo un acquazzone. Possibile che fosse gelosa di quel rapporto così intimo tra i due ricercatori? pensò Marika mentre continuava a guardarli. In quel momento arrivò Andrea, l’uomo che li aveva accompagnati lì, che interruppe i suoi pensieri

«Mi deve scusare se le sono sembrato scortese al bar ma, sa com’è, è il mio lavoro»

«Non si preoccupi» disse Marika quasi assente «è solo che credevo volesse uccidermi»

Andrea si girò di scatto «Cosa? Ma per chi mi ha preso?» ribatté offeso

«Si metta nei miei panni» disse lei cercando di scusarsi «come potevo sapere?» aggiunse con la voce rotta e gli occhi lucidi. La tensione per tutto quello che gli stava capitando nelle ultime ore cominciava a farsi sentire.

«Stia tranquilla, stavo scherzando» disse Andrea dandole una pacca sulla spalla

«scherzando su cosa?» ribatté Marika mentre sentiva crescere l’ansia per una risposta che, probabilmente, non voleva sentire

«Sicura di volerlo sapere?» e la guardò con uno sguardo che la fece gelare.

Il breve scambio di battute venne interrotto da quello che sembrava un uomo avvolto in una tuta rossa, nera e blu che sembrava cambiare colore mentre si avvicinava. Marika rimase turbata da quella visione. Sembrava avanzare a tratti. Come un fantasma che si materializzava per alcuni secondi per poi sparire e ricomparire più vicino.

Quali altri segreti ci stanno nascondendo? Pensò prima di accorgersi che invece tutti gli altri non erano minimamente sorpresi di vedere quella specie di guerriero spaziale. Quali altri segreti MI stanno nascondendo?

Lo spaziale era arrivato quasi correndo ma sembrava calmo e appena fu abbastanza vicino a Stainer cominciò a parlare:

«dottore abbiamo un allarme nel settore 5» disse di fretta ma stranamente tranquillo.

«Ci hanno scoperto?» disse Stainer guardando prima Andrea poi Carlo.

«non credo signore. Per il momento sembra stiano cercando qualcosa»

«quanti sono?» chiese Carlo allo spaziale con una calma che Marika non riusciva a spiegarsi

«sei, forse sette ma sembrano ben equipaggiati»

Stainer e Carlo si scambiarono un’occhiata e Carlo raccolse i documenti che Marika aveva rubato.

Marika cercava di capire che cosa stesse succedendo quando Andrea emise una specie di gemito e portandosi le mani chiuse a pugno verso il petto venne avvolto da una tuta simile a quella dello spaziale ma verde e grigia. Se non fosse stato per il gemito e un leggerissimo bagliore la trasformazione sarebbe stata completamente ignorata da Marika che quasi svenne nel vedere quella… quella… quella cosa.

«DOBBIAMO PARLARE!» sbottò ad un tratto cogliendo gli altri di sorpresa e puntando l’indice della mano destra verso Carlo

«non qui e non ora mia cara» la interruppe Stainer calmo e si avviò verso un muro che cominciò a muoversi quasi senza rumore.

«Prego, da questa parte» disse Stainer avviandosi verso un corridoio poco illuminato.

Marika era titubante, fece un passo e si bloccò sulla soglia.

«Vieni con me» le disse Carlo allungandole una mano.

«Tutto questo è assurdo!» disse Marika a denti stretti «non c’è il minimo senso in quello che sto vivendo. È un sogno, anzi no, è un incubo da cui probabilmente non mi sveglierò mai» e borbottando si avviò non prima di aver dato uno schiaffo alla mano tesa di Carlo che ridacchiò sotto i baffi.

Il professor Stainer tornò indietro e chiamò Andrea

«Andrea»

E lo spaziale che rispondeva al nome di Andrea fece solo un cenno. Non c’era bisogno di parole dato che il tutto era già stato concordato.

***

Andrea era andato con lo spaziale verso l’esterno dell’edificio per tenere d’occhio il piccolo gruppo che stava avanzando nel complesso. Sembrava che stessero cercando qualcosa con tutti gli strumenti che si portavano dietro quando disse allo spaziale «i generatori! Il professore non ha ibernato i generatori!»

Lo spaziale, che in realtà si chiamava Guido, si girò di scatto e cominciò a correre verso il laboratorio per ibernare i generatori che fornivano energia al complesso.

Andrea non era stato scelto per la sua intelligenza scientifica ma per un tipo di intelligenza molto più particolare. Riusciva a rimanere calmo e a pensare lucidamente anche quando gli altri perdevano la testa. Ecco perché era il leader del gruppo che cercava di proteggere il complesso del professor Stainer. Sotto stress lui pensava più velocemente degli altri e questo gli dava un notevole vantaggio in combattimento.

Si sporse dalla colonna che lo celava alla vista del gruppo che stava sorvegliando e attivò qualcosa sul braccio e la tuta sembrò cambiare colore. Adesso era dello stesso colore della colonna e sarebbe rimasto così, invisibile, finché non si fosse mosso.

***

Guido era arrivato ai generatori e cercò di ricordare la corretta sequenza di ibernazione. Iniziò a sudare e gli vennero dei conati di vomito per la tensione nervosa che si stava accumulando pericolosamente. Lui non era come Andrea. Lui era un soldato.

Ok, si disse, alla fine non è altro che un gruppo elettrogeno no? Pensò cercando di calmarsi ma gli vennero alla mente le parole di quel dannato Stainer: I generatori che abbiamo qui sfruttano un particolare sistema per creare energia. In pratica sono dei minuscoli buchi neri e spegnere bruscamente il sistema significa avviare una reazione a catena che potrebbe far sparire tutto quello che vedete più una parte consistente del quartiere in cui ci troviamo.
Ricordate sempre di alzare immediatamente il campo di contenimento e abbassate gradualmente il convogliatore di energia…
o era il contrario?

***

Stainer e la sua compagnia stavano camminando da diversi minuti quando Carlo si bloccò di colpo e trattenne il professore mettendogli una mano sulla spalla

<<professore, ho dimenticato di spegnere i computer. Le simulazioni sono ancora in corso…>>

<<non c’è problema. Sono sicuro di aver ibernato i generatori prima di andare>> disse Stainer calmo

<<se è così perché le lampade di emergenza sono spente?>>

Un brivido percorse la schiena dei due uomini che si girarono simultaneamente e cominciarono a correre percorrendo a ritroso il corridoio incuranti della presenza di Marika che gli urlò

<<DOVE ANDATE? NON VOGLIO RESTARE QUI DA SOLA!>> e accennò a seguirli ma bastarono pochi passi per rendersi conto del perché non si erano mai viste atlete con i tacchi alle olimpiadi.

<<torneremo subito>> disse Carlo senza voltarsi <<tu resta qui e non toccare nulla>>

<<E PERCHÉ MAI DOVREI SENTIRE IL BISOGNO DI TOCCARE QUALCOSA?>> urlò Marika ai due che ormai erano solo due sagome indistinte

***

Andrea continuava a rimanere immobile cercando di capire cosa cercassero i sette uomini con quegli strumenti. C’era qualcosa in quel gruppo che non lo convinceva. Continuavano a girare per il complesso ma non sembravano avere un piano o un percorso preciso. Sembravano girare a caso.

Stava pensando a queste cose quando qualcosa di indefinito vicino agli uomini attirò la sua attenzione. Per un attimo gli sembrò che l’uomo che guidava la spedizione venisse trattenuto e spinto. Una specie di marionetta in balia di qualcuno che lui non riusciva a vedere. Una cosa impercettibile ma che gli fece realizzare che nessuno del gruppo aveva, o sembrava avere, armi. Se lui avesse organizzato una spedizione del genere non avrebbe mandato un gruppo di ricerca senza una scorta adeguata.
Ecco cosa aveva visto. C'erano degli uomini con una tuta simile alla sua ma che potevano occultarsi senza dover rimanere immobili e la cosa aveva risvolti che non osava immaginare.

***

Guido era riuscito a ricordare la sequenza di ibernazione ma non era una cosa veloce. Doveva cercare di smorzare le oscillazioni di energia giocando con il campo di contenimento in modo da “distruggere” l’energia in eccesso. Era quasi arrivato alla fine della sequenza quando si sentì strattonare da dietro. Perse l’equilibrio e si ritrovò sul pavimento mentre quella che sembrava un’ombra si scagliava su di lui.

<<IL GENERATORE!>> gridò prima di ricevere un colpo sotto il collo che lo fece stramazzare

L’ombra si chinò su Guido con il pugnale in mano quando un dubbio lo assalì. Perché era così preoccupato del generatore? Sicuramente aveva intuito che stava per morire e il suo ultimo pensiero era uno stupido generatore?

Lasciò l’esecuzione in sospeso e si diresse verso il pannello di controllo che regolava la potenza dei generatori. Non era un tecnico specializzato ma aveva studiato quella tecnologia semmai avessero avuto bisogno di sabotarla e quello che vide non lo rese felice. Il generatore era quasi ibernato ma era rimasta una piccola parte di energia non convogliata verso il campo di contenimento che avrebbe potuto causare ingenti danni alla struttura.

Aveva solo due scelte attuabili: rimanere e cercare di finire l’ibernazione o lasciare la struttura a gambe levate?

Scelse la seconda alternativa perché se era vero che aveva riconosciuto quella tecnologia era anche vero che non era un tecnico specializzato e il rischio di fare una brutta fine era molto alto. Ormai il nucleo del generatore stava per superare il punto critico ed era ormai questione di attimi prima che il collasso del nucleo provocasse un’implosione devastante.
Lanciò il segnale di allarme con la radio che collegava tutti i fantasmi e si diresse di corsa verso l’uscita.

***

Il comportamento dei cercatori aveva qualcosa che non andava. Sembravano spaesati e si guardavano confusi e adesso sembravano muoversi autonomamente. Dove sono andate le ombre? pensò Andrea mentre continuava a tenere d'occhio il gruppo.

***

Carlo e Stainer erano quasi arrivati alla fine del corridoio quando si accorsero che l’illuminazione nel corridoio aveva cominciato a tremolare. Si fermarono come imbambolati ad osservare una lampada che ad intervalli regolari aumentava e diminuiva l’intensità e via, di nuovo di corsa verso Marika perché avevano capito che il generatore stava andando verso il collasso. Correvano il più velocemente possibile verso Marika che adesso riuscivano a scorgere in lontananza.

***

Marika si era accorta che i due ricercatori si dirigevano di corsa verso di lei e cercò di capire il perché di quel comportamento. Forse stanno scappando dagli uomini che sono entrati nella struttura?

***

Andrea era confuso. I cercatori stavano andando via quando gli arrivò uno strano gemito via radio. Forse aveva capito. Si staccò dalla colonna e cominciò a correre verso i generatori quando si accorse che un'ombra correva verso di lui con qualcosa in mano ma aveva cose più urgenti da sistemare e non poteva dedicargli troppo tempo quindi si mise in posizione di guardia e correndo a testa bassa stava per colpire, ma con suo grande disappunto, l’ombra scartò di lato senza quasi degnarlo di uno sguardo.
Tutta questa storia non aveva senso. Perché stanno scappando? pensò proprio mentre la voce di Guido lo raggiunse nell'auricolare in un sussurro <<collasso>> e la comunicazione si interruppe.
I generatori. C’è un problema con i generatori e cominciò a sentire il suo cuore nelle orecchie mentre cercava di raggiungere Guido il più velocemente possibile.

***

La vita scorreva tranquilla in città e l’esplosione che arrivò dai magazzini abbandonati colse tutti di sorpresa. I detriti dell’esplosione fecero diversi danni ma per fortuna non ci furono feriti gravi ad eccezione di un operaio che per la paura cadde da una scala. I telegiornali parlarono dell'accaduto ma, come accade spesso, liquidarono il tutto con delle generiche accuse all'amministrazione comunale che non era stata in grado di riqualificare la zona e iniziò il classico rimpallo di responsabilità.

Il professor Stainer veniva verso di loro senza parlare, procedeva lentamente, ad ogni passo scrutava Carlo, come per carpirne l'essenza, per vedere il risultato della miracolosa sopravvivenza.
Se qualcuno sapesse a cosa era sopravvissuto…
Erano anni che il team di ricerche messo su da Stainer cercava di capire come trarre vantaggio dalla manipolazione delle particelle sub atomiche, nella sua mente non esisteva più niente che si fermava alla tavola periodica, la casualità nella distribuzione degli elementi, la rarità… Tutto poteva diventare tutto, la porta per la pietra filosofale tanto cercata dagli alchimisti era finalmente aperta.
Rimaneva un tabù, che succede ai composti organici? Parallelamente al progetto del professor Stainer ve ne era un altro gestito da fondi privati, al contrario di quello di Stainer gestito dall'università, gestito dal professor Weber che possedeva anche il laboratorio di ricerca nel quale Carlo e Marika hanno lavorato fino al giorno prima dell'esplosione. I team dei due gruppi di ricerca nelle fasi iniziali hanno condiviso risultati e metodi per poi giungere a una divisione di concetto, entrambe i team facevano ricerche sulle interazioni delle subatomiche, ma con metodi e approcci diversi a tal punto che tra i due team la collaborazione era impossibile, ma Carlo conosceva tutti quelli che erano chiusi in quel laboratorio, perfino lo stesso Stainer.
La stima che Carlo aveva per lui era davvero enorme, quell'uomo solo fantasticava su costellazioni di elettroni e masse infinitesimali che producevano le più disparate orbite nella sua testa, e provava ad immaginare di costruire con tutti quei “pezzi” nuove costellazioni e nuovi assiemi, prendevano vita forme molecolari che la natura stessa non era in grado di produrre, parlare di quell'uomo con il resto della comunità scientifica significava introdurre una discussione senza senso, in quel preciso momento storico Stainer era la personificazione della fantascienza.
Giunto a qualche passo dal duo di ricercatori in piedi all'ingresso Stainer cominciò ad allungare l'ossuta mano verso Carlo che si appresto a compiere l'ultimo passo afferrando vigorosamente la mano del luminare:
“E' passato molto tempo professore! E' un piacere rivederla!”
il professore ricambio la stretta ed emise un verso di gioia:
“Dopo l'incidente non avrei mai pensato di rivederti vivo! Ragazzo lo sai con cosa stiamo scherzando!”
“Non pensavo si fosse saputo al di fuori del laboratorio…”
disse Carlo quasi a giustificarsi
“Lasciamo stare. Raccontami...”
Stainer aveva a suo tempo corteggiato Carlo per portarlo nella sua squadra, ma Carlo non voleva allontanarsi dai laboratori gestiti da Weber, nei quali lavorava con Marika e dalla quale non voleva separarsi, però in barba al regolamento aziendale ogni tanto i due si chiamavano al telefono al di fuori del lavoro e parlavano di scienza come due uomini normali parlano del tempo, indirettamente Stainer era al corrente di quasi tutto quello che succedeva al proggetto subatomico di Weber e indirettamente ne utilizzava i passi avanti, stessa cosa Weber indirettamente seguiva il lavoro di Stainer per mezzo dei progressi di Carlo. Altri sarebbero impalliditi di fronte a questa falla nel sistema di informazioni, ma Weber era furbo, utilizzava la mente brillante di Carlo e la sua “doppia” ricerca in maniera controllata, giorno e notte qualcuno teneva d'occhio quel piccolo investimento azzardato che stava per ora producendo moltissimi frutti per evitare che ci fossero problemi.
Marika ancora sbalordita di tanta confidenza non sapeva come comportarsi e stava ancora in piedi di fianco all'avventore del bar cercando di dare una spiegazione a quel siparietto, all'improvviso il ragazzo che prima sembrava minaccioso la guardo e tendendo la mano aperta verso di lei la guardò con un sorriso accennato sulla faccia e accennando con la testa alla busta che teneva ancora in mano disse:
“quella puoi darla a me adesso”
“non posso!”
ripetè Marika portandosi istintivamente al petto la busta ancora confusa su ruoli e personaggi, ma il ragazzo cercando di tranquillizzarla le mise una mano sulla spalla e disse:
“vieni con me, non servono a noi quei documenti, servono a DOC per rimettere in sesto il tuo amico!”
Dopo aver ascoltato la frase Marika si tranquillizzò un po, decise di seguire le istruzioni del ragazzo e gli porse la busta con i documenti, il ragazzo sorrise e mentre accompagnava Marika nei locali dove si erano eclissati Carlo e il “doc” si presentò
“mi chiamo Eusebio, ma tutti mi chiamano Sberla come quello dell'A-Team…” Marika si fermò ad osservarlo cercando delle somiglianze ma non trovandole fece una faccia delusa che fu immediatamente colta da Sberla che anticipò la domanda con la risposta “non so perché, me lo porto dietro dalla scuola, ma questo conta poco, qui alla GEN.TEC. mi occupo di sicurezza e sono il responsabile del servizio d'ordine nelle strutture della compagnia, so perfettamente chi sei, comunque a nome della GEN.TEC. Tutta, benvenuta a bordo! Ti trovi nell'istallazione ZYON EU-23 la più piccola, usiamo questo posto quasi per scopi ricreativi, qui veniamo a provare le apparecchiature...” i due sparirono dietro l'ennesimo portone dall'aspetto hi-tech inseguendo Carlo e il dottor Stainer nelle sale dell'istallazione.

Dall'altra parte della città il SUV seminato da Carlo oltrepassava il cancello di accesso alla struttura dirigenziale della NEW GENETICS, la società fondata da Weber tenuta in piedi da società che gestivano piccoli imperi finanziari e che avevano tutto l'interesse nel veder sviluppato il progetto che Weber gli aveva illustrato quando era in cerca di fondi.
Dal SUV scesero un individuo dal posto passeggero vestito di tutto punto con una pettinatura ordinata, gli occhiali da sole e un perfetto completo da vero M.I.B. dai sedili posteriori scesero altri due individui che erano vestiti in fotocopia con il tipo davanti, l'anomalia era il pilota, scese un tipo in jeans e una camicia decisamente anomala per passare inosservata, un colore sgargiante e la texture stampata sopra di fiori awaiani, una pettinatura afro e un paio di occhiali che coprivano quasi tutta la parte scoperta di faccia dall'attaccatura dei capelli fino al naso, una volta messi i piedi a terra si girò a guardare i suoi compagni e stringendosi dentro le spalle disse
“mi è sfuggito nel traffico, se solo non fossimo usciti con questo scatolone!”
finita la frase erano appena arrivati alla porta automatica del complesso che si aprì mostrando al suo ingresso un altro M.I.B. che fece accomodare l'insolito quartetto in una stanza non poco lontana dall'ingresso, dopo pochi istanti il dottor Weber in persona varcò la soglia della stanza accompagnato dal tipo vestito in nero che stava dietro la porta automatica e guardò inorridito il pilota, decisamente non conforme allo standard, parlando come se non ci fosse disse:
“chi è questo tizio vestito da imbecille?”
senza scomporsi più di tanto il pilota si alzò e disse scocciato
“già siamo in questa situazione al terzo giorno di lavoro, io me ne vado”
a frase finita Weber lo guardò incuriosito. Facendo appello a tutto il suo autocontrollo lo fissò intensamente pronunciando la sua condanna a morte:
“oggi grazie alla sua inefficienza, una delle nostre menti brillanti e il risultato di anni di ricerca e sacrifici sono sfuggiti al nostro controllo, licenziarla e il minimo che potrei fare...”
Con un cenno della testa rivolto al suo accompagnatore si tolse di mezzo liberando la strada al mastino che aveva dietro, in un solo movimento il bestione tirò una sberla al povero malcapitato che vacillò in direzione opposta, senza neanche avere il tempo di riprendersi si sentì afferrare alla nuca, il bestione spinse la faccia del malcapitato contro il suo ginocchio che già era proiettato in avanti, gli altri presenti nella sala restavano impietriti con lo sguardo verso il basso, solo Weber osservava il massacro con un filo di compiacimento. Il poveraccio cadde a terra riversando un fiume di sangue, per finire l'opera il bestione prese il malcapitato per la folta capigliatura e lo issò quel tanto che basta per scoprire il collo nell'altra mano teneva saldamente un coltello a serramanico che si mosse velocemente verso il lato sinistro del collo tracciando un profondo solco profondo che permise al poco sangue rimasto di fuoriuscire lasciando il tipo afro privo di ogni senso.
Weber guardò il resto della platea con soddisfazione mentre il bestione imprecava perché il suo completo nero adesso era completamente sporco. Con un cenno Weber mise a tacere la smania del suo gorilla e con un tono seccato cominciò a spiegare agli altri.
“vedete, la vostra incompetenza oggi mi è costata molto, detesto l'incompetenza e detesto dover far ripulire tutto questo caos tutte le volte, sono davvero stufo di questo atteggiamento approssimativo, stiamo lavorando sul progetto del secolo! Non posso più tollerare episodi come questo!”
girò sui tacchi e prese spedito il corridoio fuori la porta.
Il bestione lasciò andare il pilota del SUV che cadde a terra ancora in preda a qualche spasmo e ai tremori di chi comprende che non ci sarà più un dopo, recuperò una posizione eretta risistemandosi la giacca e uscì dalla stanza passando in rassegna il resto della squadra con un espressione compiaciuta e l'atteggiamento di chi si domanda “chi sarà il prossimo”.